In natura non esiste nulla di univoco,
la natura è fatta di variabilità.
Biodiversità
L’uva, il paesaggio, l’uomo fanno parte di un tutto
Lavorare con la natura affina la capacità di sentire, rende partecipi lo spirito e le abitudini del contadino, porta alla comprensione profonda dei processi vitali. Alla dimensione più concreta del fare si affianca una dimensione diversa che si allontana dall’aspetto materialistico e si arricchisce di una dimensione più spirituale.
Scopriamo allora una natura diversa fatta di macrocosmi e microcosmi, pulsante di vita ed espressione di molteplicità mai banale. È questa la natura che invita a porsi in ascolto e a considerare ogni gesto agricolo non come fine a se stesso ma partecipe di un ciclo completo.
Un paesaggio agrario ricco di diversità è un grande valore che va protetto, curato, raccontato e ricostruito.
E così abbiamo piantato siepi attorno alle vigne e vecchie varietà di frutta, cercato di reintrodurre animali, curato il manto erboso dell’interfilare seminando molte erbe diverse.
Si sono moltiplicate le farfalle, gli insetti e gli uccelli. Pur vivendo in un’area ad agricoltura intensiva come il Trentino la natura ha reagito e quasi ringraziato.
Dalla terra all’uva
Poco sappiamo della vita che pulsa al di sotto della pianta, della terra che vive grazie ad una moltitudine infinita di microrganismi. Eppure è grazie all’aumento dell’attività microbiologica legata all’uso dei preparati, all’attenzione nella gestione del suolo, all’equilibrio raggiunto dalla pianta stessa che interagisce così positivamente con il suolo, che contribuiamo a mantenere ed accrescere la fertilità della terra. Solo da una terra viva otterremo frutti vivi.
L’interazione fra la terra e gli uomini che ci lavorano, i loro pensieri, i loro sentimenti e il loro sviluppo morale è il riflesso di quel che vive nell’anima del contadino.
Il nostro compito è quello di favorire e accompagnare la pianta: solo il mantenimento della fertilità della terra potrà aiutarci ad avere una vite in equilibrio che possa autodifendersi e reagire meglio alle estreme condizioni climatiche di questi anni. Solo ragionando e agendo attraverso relazioni complesse otterremo risultati tangibili.
Ci siamo abituati a camminare nelle nostre vigne in mezzo ai fiori, ad osservare ogni pianta con attenzione e a stabilire con lei un rapporto delicato ed intenso. Ogni vite ha un portamento diverso, manifesta il suo stato di salute: la vigoria dei germogli ed il suo portamento indicano se l’equilibrio è stato raggiunto e se il nostro agire è stato corretto.
Affinando la capacità di osservare abbiamo colto molte sfumature e anche il ringraziamento che la vigna ben coltivata cerca di esprimere. Ce ne siamo accorti nel non cimare più i tralci, nel non togliere più le foglie vicine ai grappoli, nell’evitare i tagli profondi in potatura, nel lasciare che le erbe spontanee dell’interfilare possano andare a fiore. Le nostre vigne si sono fatte più ricettive: ogni tisana spruzzata ha un effetto benefico; il preparato 501 spruzzato a dosi di pochi grammi per ettaro porta luce dentro la pianta.
A fine settembre, quando cogliamo i frutti, il sentimento che ci anima è la gioia e la gratitudine.
Biodinamica
Abbiamo iniziato ad usare i preparati biodinamici nel 2002, dopo un lungo tempo di riflessione e di confronto con il nostro operare passato.
L’agricoltura biodinamica è un intervento agronomico “solare”: ogni pratica in campagna tende a portare le forze del sole nei processi vitali del terreno e della pianta. Il sistema solare è un vero e proprio essere vivente, in cui le sfere di azione dei singoli pianeti compenetrano la luce del sole che inonda la terra.
L’uso dei preparati biodinamici catalizza queste forze.
Non ci siamo allontanati dallo spirito moderno della conoscenza e della ricerca, ma abbiamo cercato di riportare l’uomo con la sua spiritualità dentro la scienza, considerando non solo l’aspetto materialistico della natura ma affrontando la comprensione profonda dei processi vitali.
L’uomo moderno ha dimenticato che è attorno all’agricoltura che gravitano quasi tutte le attività umane.
Fra le foglie delle nostre vigne sono tornati i nidi di merli, tordi, fringuelli; e poi, a primavera, farfalle, api e molti insetti.
Abbiamo ripreso a curare il prato nell’interfilare, a piantare siepi e, da poco, ad introdurre gli animali in azienda.
A Fontanasanta sono stati riattivati stalle e pollai; usiamo il letame per l’allestimento del cumulo.
Il lavorare in un organismo agricolo a ciclo chiuso, cioè autosufficiente, è il nostro obiettivo futuro. Le componenti umana/sociale, vegetale, animale e minerale hanno un ruolo sinergico e di pari peso nella nostra realtà.
I preparati biodinamici agiscono “dinamicamente”, non quantitativamente: ne usiamo quantità piccolissime alle quali corrisponde un apporto di sostanza quasi nullo. Attraverso il loro uso, dopo averli dinamizzati in acqua, portiamo al suolo e alla pianta le informazioni che attivano i processi di vita e dunque la fertilità.
Quando emulsioniamo la preparazione biodinamica con un movimento circolare, la forza centrifuga fa salire il liquido sulle pareti del recipiente mentre la forza centripeta scava un imbuto al centro del vortice. Cambiando la direzione, tutto si inverte.
La dinamizzazione genera dunque un movimento ed una forma, assieme all’ossigenazione, indispensabile alla moltiplicazione della vita.
La formazione delle superfici gioca un ruolo importante nella misura in cui queste rinchiudono il prodotto da dinamizzare: il ribaltamento di queste superfici, conseguenza del cambiamento delle direzioni, porta la “memoria” del prodotto nell’acqua.
Nei gesti che accompagnano l’allestimento dei preparati, la loro conservazione, dinamizzazione e distribuzione, abbiamo ritrovato cadenze e ritmi che avevamo dimenticato. L’attività agricola ritorna ad essere vicina all’uomo.
Riusciamo così a camminare nelle nostre vigne osservandole con occhi diversi. Ogni pratica agricola è conseguenza di un’informazione che la pianta ci trasmette.
La via del seme: il perché
Non possono esistere forme di vita sulla terra se non sussistono relazioni fra organismi viventi.
Questi organismi si nutrono degli “scarti” di organismi viventi diversi da loro (che a loro volta si sono nutriti dello scarto di un altro organismo vivente); nessuno può nutrirsi dei propri scarti perché questi sono tossici per l’organismo stesso a lungo termine.
Quello che succede nel mondo materiale succede anche nel mondo spirituale: noi non possiamo far evolvere le nostre idee se non c’è uno scambio con altre idee.
È così che, concentrando nello stesso spazio un grande numero di organismi uguali o simili, si genera la malattia; eccoci chiari i problemi del nostro tempo legati alla monocultura.
È sulla base di queste considerazioni che il futuro della salute delle nostre piante è inevitabilmente legato alla creazione di diversità.
Da 15 anni abbiamo così iniziato un percorso che, attraverso il seme, ci sta portando a creare nuova e vitale diversità all’interno delle nostre varietà legate al territorio: Nosiola e Teroldego.
La via del seme: il nostro percorso
La vite è una pianta autofecondante, marginalmente può essere feconda dal polline di altre viti.
È l’estrema diversità e variabilità del genoma della vite che rende possibile che ogni vinacciolo generi una pianta diversa dall’altra. La vite è infatti un eterozigote.
L’antica moltiplicazione da seme con la sua ricombinazione genica, insieme alle mutazioni spontanee insorgenti in natura e all’interazione con l’ambiente, hanno da sempre garantito l’esistenza di una variabilità sia genotipica che fenotipica del genere Vitis.
È noto che l’uomo iniziò a coltivare la vite nel Neolitico, partendo da materiale che trovava a disposizione in natura, ed è quindi lecito pensare che i primi viticoltori moltiplicassero delle popolazioni di viti che derivavano da seme, considerandole appartenenti alla stessa varietà: si trattava dunque di individui genotipicamente differenti ma fenotipicamente simili.
Da questa considerazione si deduce facilmente che le varietà erano caratterizzate da un’elevata variabilità genetica, in seguito depauperata dal miglioramento genetico per selezione clonale, che è stato inizialmente condotto senza un criterio di salvaguardia della biodiversità. Nelle strategie tradizionali di selezione clonale, la base genetica della varietà-popolazione è stata spesso sintetizzata in un numero ristretto di genotipi che dovevano possedere il maggior numero di caratteri positivi. Questo modo di operare ha ridotto drasticamente la variabilità dei vitigni sottoposti a selezione clonale, soprattutto se si trovavano in areali ristretti.
“Non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno quella più intelligente, ma la specie che risponde meglio al cambiamento.”
Questa celebre frase di Charles Darwin, offre lo spunto per un’ulteriore considerazione, ovvero che attraverso la riproduzione agamica l’uomo ha operato, nel corso dei decenni, un’azione contro natura non permettendo all’organismo vivente in oggetto di evolversi e di potersi preparare, attraverso la ricombinazione genica, ai mutamenti ambientali che si susseguono in maniera sempre più repentina e imprevedibile.
Ecco che, alla luce di quanto sopra, nasce l’esigenza di recuperare il patrimonio genetico della vite, agendo possibilmente secondo natura. La riproduzione sessuata è una strategia riproduttiva, uno stratagemma della natura proprio per garantire agli organismi superiori di adattarsi ai continui cambiamenti.
La tecnica dell’autofecondazione che noi applichiamo è un mezzo utile ad incrementare l’espressione fenotipica, permettendo di ottenere segreganti che presentano, vicino alle caratteristiche generali del vitigno, alcuni caratteri nuovi non presenti nelle espressioni fenotipiche della popolazione di partenza. I caratteri, sia morfologici della pianta, che quelli compositivi della bacca, segregano: si manifestano cioè con una maggiore ampiezza nella loro espressione fenotipica, rispetto alla varietà di partenza.
La semina di vinaccioli ottenuti per autofecondazione è un modo per svelare la variabilità “nascosta” del vitigno.
Mettersi in ascolto
Assaggiamo il vino e ne riusciamo a percepire l’essenza e l’energia. Guardiamo le immagini delle cristallizzazioni sensibili del Teroldego, della Nosiola o del Manzoni Bianco nella loro evoluzione nel tempo e vediamo l’astratto delle nostre sensazioni che si materializza in sempre più fitti e fini cristalli.
Non ci sono numeri o dati ma semplicemente percezioni: è così che ci sembra di essere parte del ciclo naturale, di poter unire la nostra conoscenza alla comprensione intuitiva della natura, di far parte dei suoi ritmi. Ci siamo finalmente messi in ascolto ed abbiamo capito.